
Maddalena Dalli – Se “la nemica” è la madre e, a volte, anche la figlia
Economia italiana, giugno 2013
Di origini russe (era nata a Kiev l’11 febbraio 1903, figlia di un ricco banchiere costretto nel 1918 a lasciare il Paese, con la famiglia, per scampare alla taglia posta sulla sua testa dai caporioni della Rivoluzione d’ottobre, trasferendosi prima in Finlandia e poi a Parigi); decisamente colta (parlava sette lingue); scrittrice precoce e di grande talento (a 26 anni conquistò il plauso di tutta la critica francese con David Golder, ma anche il biasimo della stampa ebraica per i suoi contenuti antisemiti); ebrea pentita (si sarebbe convertita al cattolicesimo, ma ciò non le impedì di finire nel 1942 nel campo di sterminio di Auschwitz dove, un mese dopo, secondo alcuni morì di tifo e, secondo altri, fu “aiutata” a togliere il disturbo).
Di certo una penna raffinata quella di Irène (all’anagrafe Irma Irina) Némirovsky, colei che aveva sofferto in gioventù per l’indifferenza di una madre bella quanto farfallona, che non si era mai interessata della sua educazione (a questo ci avrebbe però pensato la governante francese Zezelle), oltre che per l’affetto distaccato del padre; colei che avrebbe pagato con l’ostracismo le sue origini religiose, tanto da essere messa al bando nei primi due anni della Seconda guerra mondiale (le accuse di antisemitismo la perseguitarono almeno quanto il nazismo la perseguitò come ebrea apolide).
Non a caso fu nel suo rifugio di Issy-l’Évêque – prima in un albergo dove alloggiavano anche i soldati tedeschi della Wehrmacht, per i quali provava più compassione che rancore, e quindi in una casetta, con il marito Michel Epstein a fare da interprete agli ufficiali e a giocarci a biliardo – che ebbe a precisare, mentre dava corpo ai primi due libri (La vie de Tchekhov e Les Feux de l’automne) di quella che avrebbe dovuto essere una specie di saga in cinque puntate: “Sto scrivendo molto, anche se immagino che saranno opere postume, perché almeno così passo il tempo”.
E così sarebbe stato, in quanto nemmeno il tentativo di farla liberare da Auschwitz da parte del marito (a sua volta banchiere ebreo dal quale aveva avuto due figlie), il quale contava sui suoi buoni rapporti con i tedeschi, sarebbe servito a qualcosa. Anzi, lui stesso sarebbe ben presto finito nella camera a gas di quello stesso campo di sterminio, anche se fortunatamente si sarebbero salvate le figlie.
Irène Némirovsky, si diceva, che gli italiani – dopo anni di colpevole oblio – avrebbero iniziato a conoscere soltanto a partire dal 2005 grazie alla lungimiranza di Adelphi e al successivo interessamento di altre case editrici come Elliot e Castelvecchi. E ora di Astoria, che ha dato alle stampe La nemica (pagg. 126, euro 12,50), il secondo dei suoi quasi trenta lavori, che inizialmente era stato pubblicato sotto lo pseudonimo di Pierre Néercy. Una storia che si propone alla stregua “del racconto, serrato come un thriller psicologico – riprendiamo pari pari dalla seconda di copertina -, dell’odio viscerale che nutre Gabri, prima bambina e poi adolescente, nei confronti della madre dissoluta. Nel tragico valzer che le due protagoniste intrecciano strette l’una all’altra, tra la Parigi degli anni Venti e Biarritz, il volto della nemica assume, di piroetta in piroetta, i tratti prima della figlia, poi della madre, mentre nel vortice delle danze la violenza non è solo verbale, ma giunge a sorprendenti picchi letali”.
In altre parole questo breve quanto graffiante lavoro – che si legge d’un fiato e che quasi certamente si rifà agli stessi ricordi d’infanzia di Irène – vuole dimostrare l’impossibilità di arrivare al perdono quando a tenere banco sono il rancore e il desiderio di vendetta. Dimostrando che forse è la stessa vita la matrigna, se non la vera nemica, di chi scende sul campo della contrapposizione generazionale.
D’altra parte, prendendo a prestito le parole di Oscar Wilde (che peraltro “dovevano essere l’epigrafe, poi espunta” di questo libro), non è forse vero che i figli iniziano amando i loro genitori, poi li giudicano, quasi mai li perdonano?
Detto questo, annotiamo che ci troviamo al cospetto di una storia che affascina, che ci trascina fra i risvolti di un mondo che non c’è più, condito di personaggi fuori dalle righe e dai nostri standard. Come “insipidi parvenu, avventurieri senza scrupoli (beh, di questi ce ne sono ancora tanti su piazza), ridicole cocotte imbellettate come adolescenti”. Il tutto all’insegna dell’indifferenza. Un’altra angolatura che non ci è nuova in quanto, comunque si muova il mondo, il distaccato comportamento degli altri (ma forse sarebbe meglio dire anche nostro) fa parte, da sempre, del quotidiano tran-tran della gente.