Natalia Aspesi – “Educazioni sentimentali nella Milano del boom”
Repubblica, 8 agosto 2017
Kerestetìl di Irene Bignardi è una raccolta di dieci racconti con protagoniste bambine. Tra ricordo e poesia
Bambine anni ’50, bambine della buona borghesia milanese, bambine con genitori molto belli e molto giovani, un padre pioniere dell’elettronica e spesso lontano, una mamma appassionata e colta che, in vacanza a Milano Marittima, una mattina poteva trascinare tutte in bicicletta sino a Ravenna, perché le figlioline imparassero presto ad amare la bellezza, in quel caso quella incomparabile dei mosaici bizantini. Bambine come si poteva essere allora, che crescono in una città in pieno futuro dopo la guerra perduta, abituate alla supremazia affettuosa e severa dei genitori, ad ubbidire, a maturare i loro segreti in un mondo a parte, che non poteva accedere ai segreti misteriosi degli adulti. Solo immaginarli, fantasticarne. Cosa resta oggi di quell’infanzia privilegiata? «A me resta il nocciolo duro della mia persona», dice Irene Bignardi, che ha scritto il suo primo libro di narrativa, una raccolta di dieci racconti incantevoli, e li definisco così perché mi hanno incantato, inaspettatamente: per la scrittura delicata ed evocativa, perché le sue sono bambine d’epoca, come tante donne di oggi sono state, e ne hanno dimenticato il tesoro luminoso, lungo una lunga vita ormai irreparabile. Viene in mente Simone de Beauvoir, La forza delle cose: “Rivedo… le promesse di cui ardeva il mio cuore quando contemplavo ai miei piedi questa miniera d’oro: tutta una vita da vivere. Le promesse sono state mantenute. Eppure volgendo uno sguardo incredulo su quella credula adolescente, posso rendermi conto, stupita, fino a che punto sono stata defraudata”.
Kerestetìl è il titolo di un racconto e del libro di Bignardi, in ricordo di quella struggente canzone di Charles Trenet, Que reste- t- il de nos amours, amori dolenti che le bambine, le due sorelline, dieci e sei anni, “precocemente sapienti, educate ai grandi sentimenti attraverso la musica, i quadri le letture” aspettavano con impazienza. Non si tratta di una autobiografia divisa in dieci storie, ma di “una autoetereogeografia”, come la definisce l’autrice, memorie del piccolo mondo antico in cui si è formata in attesa di essere lei: una donna bellissima («da piccola ero bruttina, un topolino») con tutte le sue storie di amori e affetti, molto colta, impegnata, di successo, grande critica di cinema, sapiente direttrice di festival, autrice di tanti saggi. Come Storie di cinema a Venezia a cui si è ispirata Wilma Labate per Raccontare Venezia, co-sceneggiato da Bignardi, che sarà presentato alle Giornate degli Autori della 74ma Mostra del cinema. La bambina Irene, che nei racconti cambia nomi, e la sorellina più piccola, crescevano intrise di cultura senza accorgersene: divoravano Jane Austen, si facevano spiegare il Diario di Anna Frank, ascoltavano la voce di Foà leggere García Lorca, e poi c’era sempre qualcuno che le incantava raccontando con indispensabile pudicizia film come Casablanca e Cime tempestose, La fiamma del peccato e Le diable au corps. Le vacanze non finivano mai, nelle ville dei nonni sul lago, sulle spiagge eleganti sino a settembre, sulle montagne austriache, vacanze gineceo, avventurose e un po’ noiose, mamme, zie, nonne, cuginetti, tutti insieme, e raramente i padri, gli uomini, che restavano a lavorare in città, o così dicevano: primi innamoramenti, piccoli errori allora scandalosi, sussurri fantasiosi sui misteri del sesso, qualche amica troppo carina e sventata. Sulla copertina rossa di Kerestetìl si apre un tondo in bianco e nero, la foto di un sipario da cui si affaccia una stupendissima donna del genere modella anni ’50. Quella donna è Jeanne Klein, allora moglie di William Klein, e quella quinta a puntuti triangoli astratti-espressionisti, doveva separare il salotto dalla sala da pranzo nella nuova casa milanese dei giovani Bignardi: era il 1953, tutto doveva essere nuovo e giovane, lo era l’architetto Angelo Mangiarotti, consigliato da Ernesto Nathan Rogers, che suggerì per le decorazioni il giovane e allora sconosciuto americano di Parigi, Klein, diventato uno dei più grandi fotografi di moda. Alla fine papà Bignardi trovò l’opera d’arte orribile, gli amici ne furono terrorizzati, alla Irene di 8 anni procurò incubi: non ne restano che le foto. E da adulta la Bignardi non ha dimenticato e ha scelto di vivere in una casa antica di muri e arredamento, riposante e amica.