
Maddalena Dalli – Può, in una storia di famiglia, tenere banco anche un cane pronto a raccontarsi?
Economia Italiana, 14 novembre 2016
La miglior presentazione del suo profilo e di È solo un cane (dicono) – Astoria, pagg. 100, euro 12,00 -, un romanzo memoir che parla di speranza, di salvezza, di brave persone e della loro capacità di lottare, è uscita dalla stessa penna dell’autrice, Marina Morpurgo: «Lui è Blasco, io sono Marina. Lui abbaia, io scrivo. Un tempo scrivevo articoli (oltre ad avere due figli, per anni ha fatto la giornalista, prima come inviata all’Unità, poi come caporedattore al settimanale Diario – ndr) sin quando sono passata a testi più rilassati e rilassanti nonché letterari: traduzioni dall’inglese, libri divulgativi per bambini e ragazzi (ne ha scritti sette, fra i quali il ciclo dell’iraconda strega Sofonisba – ndr), una raccolta di racconti e due romanzi brevi per “grandi”. Negli ultimi tempi ho cominciato a occuparmi anche di editoria scolastica. La mia poetica è semplice: si può essere chiari senza banalizzare. In quanto nella lettura anche l’orecchio vuole la sua parte e bisogna salvare creature a rischio di estinzione come i termini insoliti e i trapassati prossimi».
Marina Morpurgo… Lei che è nata a Milano nel 1958 e che da allora «ha deluso quasi tutte le aspettative, specie quelle relative a peso e altezza»; lei che manca di senso del tragico, ma che in compenso riesce a far ridere anche quando, purtroppo, non è nelle sue intenzioni; lei che in questo suo ultimo lavoro punta sull’ironia: «Questa storia mia e di Blasco non si sa come finisce. Non dipende da me. Ho fatto tutto quello che umanamente potevo fare, e forse anche molto di più. Si sa però dove inizia, e questo luogo d’inizio rappresenta proprio un mistero, un mistero meraviglioso che nessuno mai risolverà». Con Blasco a farle da controvoce: «L’altro giorno è arrivata la veterinaria bionda, quella che piace a me. Mi ha ascoltato il cuore e toccato la pancia, e poi ha detto alla mia infermiera: Marina, questo ti seppellisce. Non so se sono contento. Prima di seppellirla a cuor leggero vorrei accertarmi che qualcuno possa occuparsi di me con uno stipendio basso come quello che passo a questa donna ingenua, fedele e poco sindacalizzata».
Ecco, bastano queste poche note attinte dalla quarta di copertina per rendersi conto di che farina è impastato È solo un cane (dicono), un lavoro breve quanto intrigante, a tratti anche giocoso, che si rifà al paesino toscano di Gambassi, ignoto ai più. Eppure lì è nato il cane Blasco, che si è da poco ammalato di tumore e che anche se non ha voglia di uscire, pur di non dover subire le vocine sceme della sua pupa-infermiera, acconsente a fare un giretto dell’isolato, visto che ci potrebbe scappare la caramella Galatina («Un mio diritto inalienabile sancito dalla Costituzione Mondiale Canina»).
In effetti a Gambassi (terra appunto di cani amabili, ma anche di preti eroici) ha trovato rifugio e salvezza la famiglia materna della stessa Morpurgo, in fuga dai nazifascisti. E quando l’autrice mette a fuoco questa strana coincidenza, inizia un bizzarro viaggio nella memoria. Perché qualcuno ha aiutato la sua famiglia a sopravvivere e qualcuno l’ha aiutata a salvare Blasco, qualcuno si è mostrato solidale e qualcuno no, qualcuno le ha insegnato la speranza e altri l’elaborazione della perdita.
Potrebbe sembrare una specie di sacrilegio questo accostamento tra la salvezza di un animale e quella di esseri umani, ma solo per coloro che non comprendono come l’amore – per un cane o per i nonni poco importa – possa scavare dentro l’animo dei solchi profondissimi. E mentre l’autrice, alla quale piacciono le vicende a lieto fine, si addentra nei meandri della storia di famiglia, non manca il punto di vista dello stesso Blasco, che per esempio non crede di essere andato con la nuova padrona per arcani motivi, ma solo perché, essendo lei cicciottella, è certo che anche per lui il cibo non mancherà.
Ricordiamo infine che questo piacevole libro è arricchito da foto di famiglia, tutte rigorosamente descritte, nonché da due “alberi genealogici”, nei quali compaiono – poteva essere diversamente? – anche i cani di casa. Insomma, a conti fatti una piacevole chicca narrativa.