Rassegna Stampa

Il Foglio

Annalena Benini – Siamo tutti l’ultimo valzer di qualcuno

Il Foglio, 9 febbraio 2015

“Oddio, grazie infinite. Sarà un vero piacere. Non voglio ballare con lui. Non voglio ballare con nessuno. E anche se ne avessi voglia, non con lui. Anzi, sarebbe proprio l’ultimo della lista. Come se non avessi visto in che modo balla: sembra uscito dalla notte di Valpurga. Pensa, meno di un quarto d’ora fa me ne stavo lì a dispiacermi per quella povera disgraziata che stava ballando con lui. E adesso sarò io quella disgraziata. Fantastico.”
Dorothy Parker, Il valzer (Astoria)

Siamo tutti l’ultimo valzer di qualcuno. L’ultima persona al mondo con cui quella persona vorrebbe ballare, parlare, scherzare. Magari non perché siamo così impacciati e infrequentabili (a volte però sì, siamo infrequentabili), ma perché in quel momento rappresentiamo il fallimento della speranza di tornare a casa con un altro, o l’ostacolo a un inseguimento, o anche l’impossibilità di fuggire da una festa senza salutare nessuno. Andiamo incontro sorridendo a qualcuno che dentro di sé sta dicendo “ti prego, non venire da me” e l’abbracciamo, facciamo domande insistenti, senza notare l’aria disperata, gli occhi che roteano da un angolo all’altro della stanza: magari aveva un appuntamento segreto e noi lo stiamo mandando all’aria, o aveva appena deciso di confessare tutto alla moglie e noi gli chiediamo se ha letto Houellebecq. Ecco perché, quando sono gli altri a diventare, fatalmente, il nostro ultimo valzer, non riusciamo a dire: sparisci, sgorbio, come in Provaci ancora, Sam. Invece sorridiamo, sconfitti, e accettiamo la sorte avversa, la serata sprecata: a parlare di alpinismo con un alpinista, di vendemmie con un sommelier, di modi per rimborsare il debito pubblico con un ambasciatore. “Che altro si può dire, quando un uomo ti invita a ballare? Ci mancherebbe altro, dovrai passare sul mio cadavere? Oh, grazie infinite, ne sarei estasiata ma ho le doglie. Sarà un vero piacere. Sarà un vero piacere farmi levare le tonsille, sarà un vero piacere ritrovarmi su una nave in fiamme nel cuore della notte”. Dorothy Parker ripercorre la disperazione, lo smarrimento, la futilità, la degradazione e l’omicidio premeditato che ci colgono quando vorremmo fuggire e invece diciamo: certo. Adesso che Astoria ha ripubblicato undici suoi magnifici racconti in Dal diario di una signora di New York, tradotti da Chiara Libero, si può ripetere ad alta voce: “Non riesco a capire come mai un fulmine non mi abbia fatto secca”, e sentirci meno soli nell’universo quotidiano degli ultimi valzer, degli scocciatori a loro insaputa e della buona educazione che impone di dire: ma che piacere, però vediamoci più spesso. “Però se torniamo al tavolo probabilmente gli dovrei parlare, ma guardalo! Che mai si può dire a un coso del genere! E’ andato al circo quest’anno? Che gelato preferisce? Come pronuncia peronospora? Basta, non c’è più speranza. E’ come se fossi finita in una betoniera in piena attività”. E mentre noi siamo dentro la betoniera e sorridiamo con i denti che ci restano pensando che devono essere trascorsi già almeno sette mesi dal momento in cui abbiamo detto: quanto tempo, con la coda dell’occhio vediamo che tutti gli altri si stanno divertendo tantissimo. Hanno incontrato anime gemelle, hanno ottenuto informazioni importanti, hanno trovato il loro posto nel mondo, o semplicemente sono già sulla porta e stanno salutando, sereni. Noi invece restiamo lì, con un ronzio nella testa e nessuno che venga a salvarci. La vita intera ci scorre davanti, mentre lo scocciatore, seduto comodo, spiega tutte le cospirazioni dietro il terrorismo islamico (compresa la Cia) e noi sentiamo addosso gli anni che passano. E giuriamo che non usciremo di casa mai più.

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