
Maddalena Dalli – Una casa iellata, la servitù alla fame e una ragazza bellissima in eredità
Economia italiana, 4 luglio 2014
Una scrittrice decisamente prolifica, di quelle che amano e sanno spaziare, con garbo e disinvoltura, nei più diversi campi della narrativa, facendosi quindi apprezzare da una platea quanto mai allargata di lettori. Stiamo parlando della scozzese Marion Gibson, nata a Glasgow nel 1936 come McChesney, autrice di numerosi romanzi storici di successo, in questo caso firmati Marion Chesney, tra i quali le serie Travelling Matchmaker e Daughters of Mannerling.
Lei che con lo pseudonimo di M. C. Beaton (ma i nom de plume spaziano anche da Sarah Chester a Helen Crampton, da Ann Fairfax a Jennie Tremaine e Charlotte Ward) avrebbe messo radici nel giallo popolare, e non solo. Lei che si è nutrita di una robusta gavetta: aveva infatti iniziato a lavorare come libraia, per poi approdare al mestiere di giornalista nel settore della moda, con puntate nel campo della critica teatrale, finendo per occuparsi – nonostante l’handicap di essere donna – di cronaca nera.
Dopo alcuni anni trascorsi negli Stati Uniti, dove iniziò a dare alle stampe i suoi primi lavori, la Chesney sarebbe tornata in patria facendo virare la sua produzione sui 29 gialli della serie imbastita su Hamish Macbeth (dalla quale la BBC ha liberamente tratto 20 episodi di una fiction), per poi inventarsi, nel 1992, quella che sarebbe diventata la sua nuova eroina, ovvero Agatha Raisin, a sua volta protagonista di 24 mistery (in parte pubblicati in Italia da Astoria). Si tratta di un’agente delle pubbliche relazioni, non più giovanissima, frustrata ma lungimirante. Una specie di baby pensionata che strada facendo metterà in piedi la propria agenzia investigativa e riuscirà a risolvere, pur fra l’incredulità di molti, un sacco di misteriosi omicidi.
E sempre come M. C. Beaton avrebbe dato alle stampe una serie, costituita da sei volumi, nella quale racconta le avventure legate a una dimora situata a Mayfair, quartiere elegante ed esclusivo di Londra, affittata di anno in anno all’epoca della Reggenza. Una casa iellata (che appartiene al decimo duca di Pelham, essendosi il nono suicidato), dove la servitù viene vergognosamente sfruttata. Una casa peraltro utilizzata da inquilini che vogliono organizzare balli e feste, ma anche matrimoni di interesse tra la ricca gioventù inglese. Ed è in questo contesto che si colloca L’avaro di Mayfair. 67 Clarges Street (Astoria, pagg. 194, euro 15,00, traduzione di Simona Garavelli), un romanzo del 1986 ambientato alla fine dell’inverno del 1807, quando in scena troviamo tale Roderick Sinclair, un poveraccio con un debole per la bottiglia, alle prese con la strana quanto inaspettata eredità del fratello, da lui giustamente disprezzato: ovvero Fiona, adottata in un orfanatrofio quando aveva tredici anni, dove lavorava come cuoca e addetta alle pulizie.
La ragazza, che “crede” di avere diciotto anni, è bellissima e all’apparenza ingenua, e l’unico modo che Sinclair vede per ricavare soldi da questa strana situazione è quello di portarla a Londra e farla convolare a giuste nozze con qualche ricco allocco. Affitta quindi la citata casa al 67 di Clarges Street, dove Fiona si dimostra subito meno ingenua del previsto. E anche la servitù – che si propone a sua volta, attraverso le figure del maggiordomo, del valletto, delle due cameriere e dei due sguatteri, come protagonista di tutte queste sei storie – si rende conto che vale la pena di aiutarla a realizzare il proprio sogno.
Che dire: come sua consuetudine la Beaton riesce a intrigare con quella sua scrittura ammiccante e a prima vista semplice, dimostrandosi quanto mai abile anche nel proporre una raffinata ricostruzione del periodo storico. Blandendo peraltro il lettore con l’ironia che le è congeniale. Ma anche stuzzicandolo all’insegna della furbizia narrativa. Leggere per credere.